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Musica commerciale – Jake la Furia (Recensione)

 

Indubbiamente ci sono dischi ed artisti che segnano profondamente la scena musicale di uno specifico genere musicale in uno specifico paese ed in momenti come quello che stiamo passando in questo genere musicale ed in questo paese, il baluardo di questi artisti non dovrebbe mai, mai, mai cadere ma rimanere in piedi per difendere un valore, una passione che accomuna oggi, sempre meno persone di fatto e sempre più persone di numero.
Forse il mio è soltanto un disincanto, forse la realtà dei fatti è un’altra che non posso e non potremo conoscere, tuttavia supportare quello di cui un “rappuso” si nutre penso sia la base della grandezza di un mc, tutto il resto è secondario… era secondario… sarebbe secondario.

Il nuovo disco di Jake la Furia ha creato, com’è logico che sia, un immenso hype, al pari probabilmente dell’annuncio parallelo del disco dei Colle der fomento. In molti si chiedevano come si potesse esprimere un’artista che sì ha fatto la storia del rap italiano, ma sempre in concomitanza con i soci dei Club Dogo ed altri artisti della Dogo gang e non solo. Già in questa fase c’è da sottolineare come l’attenzione si sia concentrata sul confronto con altri dischi, sugli scoop riguardo cosa potesse decidere di inserire Jake nel disco e via discorrendo. Al di là della validità del disco, probabilmente un tale approccio, distaccato dall’ambito musicale (ancora di più se parliamo di hip-hop) rappresenta un ostacolo da superare nell’ascoltare e soprattutto nel valutare il lavoro finale, dovendo partire da aspettative diverse e incorrendo nel rischio di essere delusi ancora prima di infilare le cuffiette. Disamina personale, condivisibile o meno…

“Tappagli la bocca Jake, tappagli la bocca…”

Pressappoco così terminava il primo estratto di “Musica commerciale”, pezzo dall’omonimo titolo, andando a ripercorrere le tappe musicali dell’mc milanese e scagliando potenti accuse contro quelli che oggi vi piace chiamare “hater”. L’intenzione non è quella di argomentare sugli antipasti dell’album, bensì proprio di concentrarsi su questa frase e provare ad accostarla ad altre fasi del disco con il purissimo intento di esprimere disagio, ma non il disagio inteso in senso moderno, la delusione vera e propria.
Forse, e ripeto, forse, parlare del disco e provare a spiegare perché esso abbia posto certe attenzioni e non le abbia soddisfatte è molto più difficile che ascoltarlo e capirlo da soli; non c’è neanche bisogno di scendere nello specifico delle strumentali o dei featuring, ma è sufficiente un approccio generale che lascia emergere una fortissima insipidità in larghissima parte dell’album. Partendo da “Inno nazionale”, che più che essere un ironico inno all’Italia è un serissimo inno alla banalità che dilaga sempre più in questo ambiente, contaminandolo negativamente.
Ancora, la successiva traccia: “Proprio come lei” tocca livelli lirici e metrici che due artisti come Jake la Furia e J-Ax non dovrebbero mai toccare (dovrebbero…) senza contare davvero una strumentale di poco conto e per nulla “incidente”.
Un disco che mi sento di definire triste alla luce del fatto che le migliori tracce le vede in due grosse collaborazioni come Ensi+Ntò e Guè+Marra, dove il secondo pezzo come ci aspettavano non tratta argomentazioni serie né sensate.

Continuare a citare tracce su tracce non risolleverebbe la reputazione un disco che probabilmente avrebbe facilmente potuto essere migliore, molto migliore. La vera nota dolente è che la parte lesa è, come al solito, l’ascoltatore che per forza di cose deve ammettere di trovarsi davanti ad un lavoro che non si discosta dalla linea che oggi caratterizza negativamente la nostra corrente hip-hop… Il problema è proprio questo, il disincanto peggiora di giorno in giorno e questo disco ne è la prova, la fetta più “alta” del nostro rap si rivela ancora una volta deludente, ma si sa che solo gli “hater” prendono le difese dell’underground… l’errore è nostro nel farlo, è un nostro errore: ancora una volta.

Voto: 5/10

 
Michele Garribba “King”.

 




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