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Denzel Curry – Imperial (Recensione)

Denzel Curry – Imperial (Recensione)

Imperial - Denzel Curry

Wooow! Torniamo a parlare di Denzel Curry come promesso, con questo nuovo progetto a meno di un anno di distanza dal doppio Ep ’32 Zel/Planet Shrooms’ , che se in parte ne anticipava i toni dall’altra non portava a immaginare l’ennesima evoluzione, crescita o cambiamento – a seconda della prospettiva.

‘’Imperial’’ esce il nove marzo dell’anno in corso, a due anni e mezzo su per giù di distanza dall’esordio – rendo noto da subito che si trova in freedownload su datpiff – per l’etichetta e crew ‘Cloud 9’ , si compone di dieci capitoli per la bellezza di trentotto minuti circa e vede alla voce featuring: ‘Joey Bada$$’ ‘Rick Ross’ e ‘Twelve’len’; discorso diverso per le produzioni in maggior parte affidate a ‘Ronny J’ – già ascoltato su ‘Nostalgic 64 – e un altro paio di nomi a completare il tutto, di cui molti in co-produzione.

Come dicevo ‘Zel è cambiato, un flow più ruvido, sciolto e imprevedibile non tanto negli schemi delle rime quanto nell’impostazione di voce e cadenze da una quartina rispetto la successiva e la precedente; tutte le strofe entrano in modo prepotente, aggressivo e a fuoco rapido anche per contrastare i ritornelli che al contrario sono in maggior parte cantati, si crea quindi questo equilibrio interessante se non necessario per l’eccessiva durezza dell’approccio lirico, dato evidente perlopiù nella prima metà nell’album. I beat invece continuano la ricerca di sonorità trap allucinogene e psichedeliche che sappiano allo stesso tempo coinvolgere fisicamente l’ascoltatore, di particolare rilievo questo fattore a fronte delle performance live di Zel che – come faceva notare un utente di youtube fra i commenti – assomigliano più a dei workout che a delle esibizioni.

Si apre il sipario perciò con ‘’ULT’’ già singolo del progetto con relativo video ufficiale che rende subito alla perfezione il carattere dell’album: refrain leggermente intonato, le prime quattro barre della seconda strofa sputate senza prendere fiato e sample filtrato fino allo stato liquido sulle strofe <<The same ones that inspires me be the same ones that wanna retire me!>>. Segue ‘’Gook’’ – termine oscuro dello slang della florida di cui Zel spiega il significato sul proprio twitter – altra bomba a metà tra il dissing e l’autocelebrazione che vi lascio scoprire da soli <<I don’t fuck with purp, that’s the only reasons Yams died>> e ‘’Sick&Tired’’ storytelling dall’impronta street con rovescio di prospettiva e un ritornello molto immaginifico e paranoico, che proprio nel ritornello cita un noto gruppo del sud degli Stati Uniti, i Goodie Mob. Questo è l’inizio dell’album, tuttavia, ad attenderci c’è forse uno dei se non IL miglior pezzo del progetto, ovvero ‘Knotty Head’ che – nonostante la presenza del ciccione per antonomasia – offre sia una performance lirica a dir poco dirompente sia un beat distorto e massiccio a sorreggere il tutto; <<Sub-Zero put a nigga so I’m iced out/ This the price I gotta pay ‘cuz I wanna be iced out>> incredibili le prime quattro barre della seconda strofa sputate senza una singola presa di fiato con tutte quelle allitterazioni di P che sembrano colpire l’ascoltatore in faccia. C’è poi tempo per riflettere e spazio per un pizzico di consciousness con ‘Narcotics’ ‘Story: No title’ e ‘Pure enough’: la prima sui luoghi comuni e i pregiudizi della popolazione bianca nei confronti dei neri, la seconda – con vari riferimenti alla comunità nera e alla religione- fa il punto su determinati argomenti tra cui la rivalità nel rap-game e infine la terza che si pone come una tra le tracce più introspettive dell’album che segna un bilancio tra verità e mistificazioni considerando aspetti tra i tanti come l’amore – tema inedito questo per Zel. A questo punto è evidente il cambio di sonorità, che specie sulle ultime due tracce si ammorbidisce un po’, sia per ciò che concerne il comparto musicale che l’approccio al microfono.

Lontani come abbiamo detto dalla fitta, densa e adolescenziale introspezione del primo album emerge nella parte finale del lavoro in questione una maggiore consapevolezza delle proprie idee nonché delle proprie sensazione come ci farà notare lo stesso Zel sulle prime battute della successiva ‘This Life’ che rappresenta proprio l’apoteosi di questo nuovo discorso – già degno di apportare all’album alcune sfumature che lo rendono più completo sotto diversi punti di vista e che alzano decisamente il replay value e l’interesse. Si torna però – per un breve passaggio – alle rime da battaglia, e su un beat quasi normale in onore dell’ospite ‘Joey Badass’ come già annunciato, entrambi ci regalano un ottimo scambio di rime e un’ampia dose di autocelebrazione a partire dal titolo.<<Tomorrow’s not promised but the coming real close/ Oh, gotta do a little soul searchin’>> queste sono le barre che chiudono il disco insieme a un breve outro e qualche shout-out, barre estratte dalla conclusiva ‘’If tomorrow’s not here’’ che si mantiene nella dimensione riflessiva della seconda metà dell’opera.

Riassumendo quindi, preme sottolineare la consistenza e l’omogeneità del tutto, e che non ci si poteva aspettare pressoché nulla di superiore a quanto abbiamo tra le mani – per di più da un ragazzo di solo ventuno anni, vorrei ricordarvi. Come abbiamo visto – o meglio, sentito – questo ‘Imperial’ sancisce un’altra evoluzione per Zel ma allo stesso tempo ci porta a chiederci: Cosa ci rivelerà questo ragazzo in futuro? Sarà questo l’itinerario che percorrerà o ci sarà un’altra evoluzione? E se ci sarà in favore di cosa sarà? Bhe, io intanto consiglio di ascoltarvi questo lavoro – che di sicuro farà parte della mia top 10 a fine anno e spero della vostra – in primis per tutto quello che ne è stato detto; ricordano quindi – più a me che al lettore – che ‘Denzel Curry’ è ancora quello che si può definire un’emergente e, almeno per me, una scommessa aperta.

Voto 8/10

Matt Rocc




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