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Harry Fraud – Blue Green (Recensione)

Harry Fraud – Blue Green (Recensione)

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Torniamo a parlare di Harry Fraud e lo facciamo con questo EP strumentale di sole nove tracce uscito l’anno scorso.
Com’è noto, Rory William in pochi anni si è saputo affermare nel sottosuolo e non, lavorando con alcuni tra i migliori e peggiori rapper statunitensi sia in progetti più o meno ampi (“SAAB Stories”, “Cigarette Boats” e infine “Rugby Thompson”) che in singole collaborazioni (“Una Hit a caso di French Montana” o per fare il nome che non ti aspetti “Upper Echelon” di Talib Kweli).
Detto questo scorriamo passo passo la tracklist di questo EP che si apre con “100 Spokes”, passaggio che mette in chiaro subito tre particolarità di questo progetto: la ricorrenza a samples di chitarra spesso e volentieri, l’immancabile “La musica de Harry Fraud” all’inizio di ogni traccia e infine (ma non per questo di minore rilevanza) l’attualità o modernità, che dir si voglia, del tutto.
Adesso dovrei parlarvi anche della breve durata di ogni traccia ma preferisco evidenziare subito che l’intro non è esattamente il miglior episodio del lavoro, basta però premere skip per arrivare a una delle prove più consistenti ovvero “Dontchu” che sul più classico booombap alterna un lieve riff di chitarra a un morbido giro di piano per la gioia dell’ascoltatore.
Arriviamo poi a “Legends in the making” nota anche come “Ashtray Pt.2” che segue per l’appunto la parte uno, già ascoltata su “Rugby Thompson” in compagnia di Smoke Dza, questa volta mancante all’appello. Il pezzo non è dei migliori, anzi, rappresenta un degno miscuglio di elementi lontani tra loro: un soffice coro in addizione alla profondità delle casse stona così come la presenza del ridondante clap di matrice 808.
Segue l’interludio, tra l’altro cantato da tale Marty James, “Dealbreaker” che scorre veloce allo stesso modo in cui appare per lasciare spazio a “Bales”, strumentale niente male che oltre alle immancabili chitarre propone anche degli accordi di organo come arrangiamento su cassa e rullante.
Arriviamo a parlare poi di “How u Feel” che riprende per assurdo e a grandi linee la struttura di “Legends in the making” tuttavia con altri risultati andando a rappresentare, a mio avviso, il miglior pezzo di questo progetto, grazie a una struttura dinamica e varia oltre che l’ottimo equilibrio fra i vari elementi scelti.
Sarebbe molto diversa questa recensione se tutti i pezzi di Harry fossero di questo livello o almeno come “Dontchu”, entrambi pezzi che sanno come suonare bene senza suonare di plastica come da migliore tradizione moderna.
Parliamo perciò degli ultimi tre pezzi, rispettivamente “Skye Right”, “Mean” e “Live from Hell”, che non stupiscono ma si fanno ascoltare lo stesso senza troppi problemi andando a coprire proprio il ruolo che gli viene assegnato: la chiusura, gli ultimi minuti, la fine dell’album.
Riassumendo il mio punto di vista quello che manca nella produzione di Harry Fraud è la continuità e un’identità musicale forte che vada oltre a un semplice sample vocale all’inizio di ogni traccia.
Ecco quindi spiegata la mia ostinazione nel recensire sue uscite, visto che reputo il beatmaker di New York come uno dei migliori in circolazione o quantomeno talentuosi e proseguo per questo ad ascoltarmi ogni suo lavoro con curiosità.
In sostanza non mi sento di consigliarvi l’acquisto prima di averne valutato le reali potenzialità, per lo stesso motivo invito chiunque ad ascoltare il lavoro qui recensito perché nei suoi migliori episodi sa coinvolgere e stupire l’ascoltatore come dovrebbe fare ogni disco solamente strumentale.
Se poi cercate un “Donuts”, un “Entroducing” o ancora un “Petestrumental” il mio consiglio è di rispolverare le vostre vecchie copie dei dischi appena citati e inserirli nel lettore, perché qua abbiamo a che fare con ben altro materiale.

 

6,5/10

Matt rocc




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